È un dato di fatto: comprovato da millenni di studi a favore e ricerche scientifiche, siamo ormai consapevoli che meditare faccia bene alla salute generale, sia fisica che psicologica. Sia che effettuiamo una ricerca online sia che sfogliamo pagine e pagine di libri, non troveremo mai una sola fonte che afferma che la meditazione induca qualche tipo di danno.
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Fa bene. Punto e basta. È così. Argomento chiuso.
Ma è chiuso davvero? No, affatto. Perché quando si parla di meditazione ci si riferisce ad un universo enorme, ricco di sfumature.
Ci sono tante pratiche diverse…così diverse che alcuni tipi di meditazione dicono praticamente il contrario di altri. Ad esempio alcune dicono che è importante scacciare i pensieri, altre dicono invece che è importante tenerli vicini. Alcune dicono che è importante concentrarsi su un mantra, altre che bisogna creare il vuoto.
Non solo, anche gli studi scientifici sulla meditazione non si suddividono in egual modo per ogni pratica meditativa, ma la più studiata in assoluto, quella per cui i risultati scientifici sono maggiormente comprovati è la meditazione mindfulness.
Quindi, cosa fare? Come iniziare ad approcciarti al mondo della meditazione?
Questo articolo nasce proprio per questo motivo: iniziare ad affacciarti al mondo della meditazione e alla varietà delle pratiche meditative esistenti e scoprire quali sono alcune delle pratiche meditative più diffuse.
Leggendo questo articolo potrai iniziare a farti un’idea di come si svolgono varie pratiche meditative e iniziare a valutare quella che può fare più al caso tuo. Esploreremo le più popolari tecniche di meditazione, a partire dal buddismo per terminare con quella cristiana, senza dimenticare di sottolineare le pratiche con maggiori studi scientifici alle spalle, com’è nel nostro stile 😉
Ma prima… prima cerchiamo di capire come si medita.
Come Si Medita: Focalizzazione o Monitoraggio
Per iniziare è bene distinguere la meditazione in 2 filoni in principali: la focalizzazione ed il monitoraggio.
Questa distinzione non è netta poiché, nella pratica meditativa, focalizzazione e monitoraggio si intrecciano tra loro.
Tuttavia è fondamentale farla per iniziare a conoscere il mondo della meditazione, perché le varie pratiche meditative appartengono all’uno o all’altro filone in base a come viene utilizzata l’attenzione.
Focalizzazione
In una meditazione che appartiene al filone della focalizzazione la tua attenzione, il tuo focus viene indirizzato verso un “qualcosa” in particolare.
Può essere qualsiasi cosa e non deve, per forza di cose, essere un oggetto reale. Ci sono infatti meditazioni che pongono l’attenzione sul respiro, su un mantra, su di una immagine, su una parte del corpo, ecc.
Può risultare complicato mantenere il focus su quello che è l’oggetto della tua attenzione. Non c’è da preoccuparsi, è normale. Raggiungere la capacità di mantenere alto il flusso di attenzione sull’oggetto scelto è complicato e diventa più forte con l’avanzare del praticantato. Con il passare del tempo ti distrarrai meno facilmente e svilupperai una profondità e una fermezza di attenzione tale da permetterti di assorbire e percepire tutte le proprietà benefiche della dolce arte della meditazione.
Monitoraggio
Le meditazioni che appartengono al filone del monitoraggio invece suggeriscono di focalizzare l’attenzione sull’osservazione dei propri pensieri, in modo non giudicante.
Bada bene, questo non significa perderti tra i tuoi pensieri 🙂
Perdersi tra i pensieri è naturale, è una funzione formidabile della mente che ti consente di avere idee creative e anche di riposarti, ma nulla c’entra con una pratica meditativa, perché quando ti perdi tra i tuoi pensieri ti identifichi con essi, mentre quando mediti non c’è identificazione con i pensieri, li guardi da lontano e non li giudichi.
Bene, ora sai la differenza tra la focalizzazione ed il monitoraggio e tra poco, quando vedremo insieme alcune delle pratiche meditative più diffuse, saprai riconoscere a che filone appartengono.
Diversi Tipi di Meditazione
MEDITAZIONI BUDDISTE
1) Meditazione Zen (Zazen)
Pone le sue radici nel Buddismo cinese e per la sua nascita dobbiamo ringraziare un monaco indiano vissuto nel sesto secolo dC. Il suo nome è Bodhidharma ed è stato in grado di portare le sue conoscenze in tutto il mondo, dando molto alla nostra comunità moderna di riscoprire ancora oggi l’essenza di un passato che non c’è più.
In genere, la meditazione buddista si pratica da seduti in una posizione a gambe incrociate. Una stuoia o un cuscino andranno benissimo per darti tutta la comodità di cui hai bisogno. Con la colonna vertebrale completamente ritta dal bacino sino al collo, espressione concentrata e sguardo basso ma anche a guardare di fronte a te.
Si può praticare in due differenti modi:
- Concentrazione sul respiro
qui occorre focalizzare l’intera attenzione sul movimento provocato dalla respirazione attraverso il naso. Sarà possibile aiutarsi contando all’indietro nella mente nel momento in cui si inala. Se per un qualsiasi motivo capita di perdere l’attenzione e di distrarsi, basta portarsi di nuovo in attività e riprendere a contare dall’inizio mentre sei concentrato a respirare.
- Shikantaza (letteralmente “seduti”)
in questa particolare forma non viene utilizzato alcun oggetto specifico nella meditazione. Piuttosto, in questo caso, si focalizza il tutto per rimanere nel momento presente, consapevolmente. Osserva tutto ciò che passa attraverso la mente e attorno a te, ma senza soffermarti su niente in particolare.
2) Meditazione Vipassana
La parola deriva dal termine “visione” o “vedere chiaro”. Risale al sesto aC ed è una pratica risalente alla tradizione buddista. Con il tempo ha aumentato popolarità e notorietà anche tra le popolazioni occidentali, con il nome più comune di “meditazione consapevole”, perché si basa sulla consapevolezza della propria respirazione.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di carpirne i segreti più reconditi.
Prima di tutto, però, c’è da ammettere che alcuni esperti rilanciano sul fatto che esistano delle informazioni che contrastano tra loro sulla pratica della meditazione Vipassana. Ma in generale, la maggior parte dei professionisti del settore sottolineano come sia fondamentale cominciare ad avvicinarsi alla disciplina soffermandosi sulla consapevolezza del respiro nelle fasi iniziali. Questo serve per stabilizzare la mente e raggiungere quella che si chiama “concentrazione di accesso”.
Cosa significa?
Vuol dire essere in grado di focalizzare l’attenzione sulla meditazione stessa, per poi passare al secondo stadio e sviluppare la visione chiara sulle sensazioni corporee e sui fenomeni che richiamano la mente, osservandoli momento per momento, istante per istante. Senza aggrapparsi a qualsiasi cosa.
La pratica consiste nel sedersi su di un cuscino posato sul pavimento, con le gambe incrociate e la spina dorsale eretta. In alternativa, se non ce la sentiamo di poggiare i glutei a terra, possiamo utilizzare una sedia, ma la parte posteriore non deve essere supportata. Quindi, anche se la posizione potrebbe risultarci all’inizio piuttosto scomoda, non dobbiamo in alcun modo aiutarci a tenere la schiena ritta per mezzo di un supporto, neppure lo schienale della sedia. Facciamo finta che non esista e lasciamoci andare, cercando di evitare di pensare al probabile fastidio di non essere abituati ad avere qualcosa che non ci sorregga il busto.
Ora possiamo partire.
Il primo passaggio è quello di sviluppare la concentrazione attraverso il respiro consapevole. Mettiamo a fuoco tutta la nostra attenzione sul movimento percepito, sulla respirazione. Possiamo notare la sottile sensazione dell’addome che si muove e sentire come si alza e si abbassa insieme ai nostri respiri profondi.
Chi, invece, è già un pochino più pratico e vuole spingersi oltre, può concentrarsi sulla percezione dell’aria che passa attraverso le narici e tocca avida la pelle del labbro superiore. Richiede una certa dose di praticità ed è consigliato per chi mastica già una tecnica più avanzata.
Ora, come riusciamo a porre l’attenzione e la completa concentrazione sul respiro, possiamo cominciare a sentire altre percezioni a cui prima non facevamo caso: suoni, sensazioni all’interno del nostro corpo, emozioni, ecc. basta notare come questi fenomeni emergono nel campo della consapevolezza e poi riprendere il controllo sulla respirazione.
L’attenzione deve essere riportata nell’oggetto della concentrazione stessa, ossia la respirazione, mentre i pensieri e le sensazioni devono essere avvertite come se fossero una dolce melodia di sottofondo.
L’oggetto al centro della pratica (il movimento dell’addome, per esempio) viene definito primario, mentre secondario è quello che si pone nel campo della percezione, sia attraverso i cinque sensi (udito, olfatto, tatto, vista, gusto) sia attraverso la mente (pensieri, ricordi, sentimenti, ecc.).
Se un oggetto secondario riesce ad agganciare la nostra attenzione e ci spinge a rifletterlo, provocando il desiderio di vedersi apparire, concentriamoci su questo per un solo istante e forniamogli un’etichetta. Possiamo denominarlo come pensiero, come ricordo, come percezione o come desiderio stesso. Questo passaggio viene chiamato “nota”, perché somiglia molto allo scrivere un post-it che viene appuntato in un angolo della nostra mente invece che sopra un frigorifero.
Questa nota mentale identifica un oggetto generico e non va a svilupparne i dettagli. Mi spiego meglio: come ho dichiarato in precedenza, nel momento in cui percepiamo una musica possiamo etichettarlo come “suono” invece di definirlo pienamente come, per esempio, canzone o rumore di una moto che corre, un cane che abbaia.
La stessa cosa funziona nel momento in cui si presenta, invece, una sensazione non piacevole. Se avvertiamo del dolore, proviamo a non dargli una chiara visione. Al posto di definirlo e pensare al male al ginocchio, chiamiamo sensazione.
Poi torniamo a concentrarci sull’oggetto primario della meditazione e riusciremo a fare lo stesso per un profumo. Quando ci accorgiamo di avvertire una fragranza, lo metteremo nel cassetto degli odori senza identificarne il profumo stesso.
In questo momento siamo appena entrati nella concentrazione di accesso e dobbiamo porre l’attenzione all’oggetto in sé della pratica. Normalmente si tratta del pensiero o delle sensazione corporee. Andremo a osservare gli oggetti di consapevolezza senza attaccarsi a essi, lasciando che i pensieri e le sensazioni stesse sorgano come fossero dei soli e passino oltre di propria iniziativa.
Questa pratica delle note mentali viene spesso utilizzata come un modo per evitare di essere trascinati via dai propri pensieri e non farci sopraffare da essi.
Come risultato andremo a sviluppare la chiara visione e il fenomeno è pervaso da tre segni di esistenza: l’impermanenza, l’insofferenza e il vuoto di sé. Di conseguenza, si sviluppano, in relazione a questi progressi, l’equanimità, la pace e la libertà interiore.
3) Meditazione Mindfulness
Si tratta di un adattamento delle pratiche buddiste tradizionali ed è un ramo della meditazione Vipassana, ma prende una forte influenza anche da altri filoni meditativi buddisti, come la pratica Zen.
Mindfulness è la traduzione occidentale del termine buddista “sati”, che significa essenzialmente consapevolezza, attenzione sollecita.
Una delle figure di riferimento per quanto riguarda questo tipo di meditazione è John Kabat-Zinn che ha creato nel 1979 un programma di meditazione mindfulness per la riduzione dello stress presso il reparto medico dell’Università del Massachusetts. È diventato così famoso da venire usato negli ultimi decenni in diversi ospedali e cliniche americane e non.
Questo tipo di meditazione, pur avendo origini antichissime nella tradizione buddista, essendosi molto sviluppata a partire dagli anni ’70 nel mondo occidentale, gode di tantissimi studi scientifici a testimonianza dei suoi benefici su mente e corpo… parliamo di una vera e propria mole di evidenze scientifiche che attestano l’efficacia della pratica meditativa mindfulness 🙂
Detto ciò, in cosa consiste la pratica di meditazione Mindfulness?
Consiste nel concentrarsi sul momento presente, osservando i pensieri che emergono senza giudicarli. Occorre prestare attenzione alle sensazioni, ai pensieri e alle emozioni che si presentano attimo per attimo.
Per la “pratica formale” si comincia seduti su di un cuscino messo sul pavimento o su una sedia, con la schiena, come citato nella pratica precedente, non supportata dal alcunché.
Prestiamo particolare attenzione al movimento provocato dalla respirazione. Nell’istante in cui prendiamo la boccata d’aria ed espiriamo, cerchiamo di essere consapevoli del fatto che stiamo respirando e di come ci sentiamo in quel determinato istante. Questo è fondamentale farlo per l’intera durata della sessione di meditazione, senza dimenticare di percepire bene il contorno: sensazioni, pensieri, sentimenti, emozioni.
È abbastanza faticoso e lo sforzo maggiore consiste nell’evitare a ogni costo di aggiungere quel qualcosa in più all’esperienza che stiamo vivendo in quell’istante, ma di essere consapevoli al cento per cento su ciò che ci sta accadendo, senza perderci.
È normale che la mente venga distratta mentre si percepiscono suoni, sensazioni e pensieri. Ma ogni qual volta che ciò accade, riconosciamo la nostra distrazione e riportiamo diretti l’attenzione sulla respirazione. Fatto ciò ricominciamo ad osservare i pensieri e le sensazioni che emergono, sempre in modo oggettivo, senza giudicare.
Ricordiamoci che esiste una netta differenza tra l’essere “dentro” il pensiero/sensazione o semplicemente l’”essere consapevoli” della sua presenza.
Impariamo a godere della pratica. Una volta che ci siamo riusciti, potremo apprezzare quanto il nostro corpo e la nostra psiche si sentano diversi in maniera positiva.
È possibile praticare la meditazione mindfulness persino durante le nostre attività quotidiane, attraverso le “pratiche informali”. Mentre mangiamo un boccone, mentre stiamo camminando, addirittura mentre stiamo parlando. Rimane ovvio che in questo caso la concentrazione deve essere ancora più forzata e bisogna esercitarsi molto sulla consapevolezza di ciò che sta accadendo in noi, senza vivere in “modalità automatica”.
Questo significa che mentre stiamo parlando dobbiamo prestare attenzione alle parole che stiamo pronunciando, al modo in cui stiamo parlando e ascoltare il tutto con presenza attiva. La stessa cosa vale se stiamo camminando; quindi dobbiamo essere in grado di percepire i nostri movimenti del corpo, come i piedi toccano il suolo, come si muovono le anche, i suoni che stiamo ascoltando, ecc.
4) Meditazione Gentile (Metta)
Deriva dalla parola “metta” che significa bontà, benevolenza. È una pratica che proviene anch’essa dalle antiche tradizioni buddiste, in particolare dalle sfumature tibetane.
Presenta un numero considerevole di benefici: è in grado, infatti, di incrementare la capacità di entrare in empatia con il prossimo, di sviluppare emozioni positive attraverso la compassione (compreso un atteggiamento più amorevole verso se stessi), di aumentare l’accettazione di se stessi.
Si pratica seduti nella classica posizione di meditazione con le palpebre socchiuse. Si comincia sviluppando una sensazione di benevolenza verso se stessi, poi, come se fosse un passaggio progressivo, verso ogni essere senziente e non.
La sensazione che andremo a sviluppare è un desiderio di felicità e benessere per tutti, nessuno escluso. Ci si può aiutare con la recitazione di parole e/o frasi specifiche che evocano una sensazione di cordialità, visualizzando la sofferenza degli altri e inviandogli amore o immaginando uno stato di qualsiasi altro essere augurandogli felicità e pace.
Ogni qualvolta si pratica questo tipo di meditazione, si potrà percepire più gioia. Ed è proprio questo il segreto della felicità che un certo Mathieu Richard rivela in questo articolo del Daily Mail.
MEDITAZIONI HINDU (VEDICA E YOGA)
5) Meditazione con Mantra (OM)
Prima di entrare nel dettaglio, dobbiamo avere ben chiaro in mente che cosa sia un mantra. Si tratta di una semplice sillaba o di una parola, in genere senza alcun significato particolare, che viene ripetuta con lo scopo di focalizzare la nostra mente. Attenzione, non si tratta di un’affermazione usata a opera di convincimento, ma ha solo l’obiettivo di concentrare tutte le nostre forze sulla nostra psiche.
Alcuni maestri che insegnano l’arte della meditazione indicano che la scelta della parola e la sua corretta pronuncia sono molto importanti a causa della vibrazione associata al suono e al significato intrinseco. Per questo motivo, suggeriscono di non protrarsi nella pratica da soli ma con l’aiuto di un esperto che sappia guidare con consapevolezza verso l’obiettivo.
Altri ancora dicono che il mantra in sé sia soltanto uno strumento per mettere a fuoco la mente e che la decisione sulle parole sia del tutto irrilevante. A voi la scelta, insomma.
I mantra sono usati nelle tradizioni induiste e buddiste, nel giainismo, nel sikhismo e nel taoismo.
Come per la maggior parte delle pratiche meditative, si comincia seduti con la colonna vertebrale eretta e gli occhi chiusi. Si ripete poi il mantra nella mente, in silenzio, più e più volte nell’arco dell’intera sessione.
A volte questa pratica viene combinata con la meditazione consapevole, mentre in altre il mantra viene sussurrato con leggerezza e con dolcezza per aiutarsi a trovare la concentrazione necessaria.
È possibile praticare per un certo periodo di tempo o per un determinato numero di ripetizioni, di solito si va dalle 108 alle 1008. In questo ultimo caso, un trucco molto simpatico e utile è quello di aiutarsi a tenere il conto per mezzo di alcune perline.
Approfondendo la tecnica con il tempo, possiamo arrivare a renderci conto che il mantra continua a farsi sentire da solo, come se fosse un gradevole ronzio all’interno della nostra mente. Oppure questo potrebbe addirittura scomparire e lasciarci in uno stato di profonda pace interiore.
Per saperne di più su questa particolare disciplina, consiglio il libro Mantras: Words of Power che spiega la tecnica nel dettaglio con utili approfondimenti.
6) Meditazione Trascendentale
La meditazione trascendentale è una forma specifica che prende forma dal mantra. Introdotta da Maharishi Mahesh Yogi nel 1955 in India, si sporge per la prima volta in occidente verso la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70. Il fondatore è conosciuto per essere divenuto il punto di riferimento spirituale dei Beatles e di altri personaggi volti al mondo dello spettacolo.
È una forma meditativa ampiamente conosciuta, con oltre 5 milioni di praticanti in tutto il globo. È così tanto nota che moltissimi ricercatori hanno condotto su questa disciplina parecchi studi (oltre 600 )ed esperimenti scientifici, promuovendone i benefici accertati.
La meditazione trascendentale, però, non è insegnata liberamente. L’unico modo per imparare a praticarla è quello di seguire un corso e formarsi attraverso uno degli istruttori autorizzati a farlo. In generale, tuttavia, è noto che la pratica prevede l’utilizzo di un mantra e ogni sessioni dura circa 15-20 minuti per due volte al giorno. Si raccomanda di mantenere gli occhi chiusi per una maggiore sensazione di concentrazione.
Il mantra non è unico e uguale per tutti, ma viene fornito al praticante in base al suo genere di sesso e alla sua età. Questa volta non si tratta di suoni privi di significato, ma sono nomi di divinità indù provenienti dal tantrico.
Per saperne di più vi rimandiamo al sito ufficiale del movimento della meditazione trascendentale il quale vi fornirà ogni aspetto più profondo riguardo alla disciplina in questione.
Simile a questa tecnica ve ne è un’altra che vale la pena scoprire. Si chiama “sollievo da stress naturale” ed è stata creata più recente, precisamente nel 2003, da un ex maestro di meditazione trascendentale.
7) Meditazione Yoga
Con questo termine si indicano i diversi tipi di meditazione insegnate nella tradizione yoga la quale significa “unione”. Per risalire ai suoi inizi bisogna tornare indietro fino al 1700 aC. Nasce con l’obiettivo di raggiungere la più alta purificazione spirituale e conoscenza di sé.
Lo yoga classico divide la pratica in norme di comportamento (yama e niyama), posture fisiche (asana), esercizi di respirazione (pranayama) e pratiche contemplative di meditazione (pratyahara, dharana, samadhi).
Qui di seguito vi elenco e descrivo alcune tipologie di pratica. Partiamo con la più comune.
Meditazione Terzo Occhio
Si focalizza l’attenzione sul posto che si trova “tra le sopracciglia” (chiamato, appunto, terzo occhio). La concentrazione deve essere costantemente indirizzata a questo punto come un mezzo per mettere a tacere la mente.
Con il passare del tempo i buchi tra i pensieri silenziosi diventano più ampi e profondi. Gli esperti consigliano di provare a visualizzare con gli occhi chiusi quel determinato punto.
Meditazione Chakra
Qui ci concentriamo su uno dei sette chakra del corpo (centri di energia), in genere puntando sulla capacità di visualizzazione e cantando un mantra specifico per ogni singolo chakra.
Meditazione Visiva
Fissiamo lo sguardo su un oggetto esterno. In genere si utilizzano una candela, un’immagine o un simbolo. Viene praticata prima con gli occhi aperti e poi successivamente chiusi per allenare i poteri di concentrazione e di visualizzazione della mente.
Dopo aver chiuso gli occhi dovremo riuscire a mantenere viva l’immagine dell’oggetto all’interno del nostro “occhio della mente”.
Meditazione Kundalini
Si tratta di una pratica complessa che si pone l’obiettivo di risvegliare l’”energia kundalini” che si trova in sospeso sulla base della colonna vertebrale. Questa disciplina, se praticata da una persona inesperta, può diventare pericolosa; per questo motivo non ci prendiamo la briga e la responsabilità di spiegarvela passo dopo passo e vi consigliamo caldamente di rivolgervi alla guida di un maestro di yoga qualificato.
Se però volete comunque saperne di più, vi rimandiamo al link che porta a un documento completo e ben dettagliato.
Yoga Kriya
Si condiscono insieme energia, respirazione, meditazione ed esercizi. È una tecnica molto adatta per chi ha un temperamento devozionale e sta cercando gli aspetti più spirituali della meditazione.
Nada Yoga
Detta anche “meditazione del suono” si ci trova a concentrarsi, appunto, sul suono in sé. Si inizia basandosi sull’esterno, come una musica rilassante in cui il praticante focalizza tutta la sua attenzione solo sul senso dell’udito per rendere quieta e calma la mente.
Con il tempo la pratica si evolve e ci permette di imparare ad ascoltare i suoni interni del corpo e della mente. L’obiettivo finale è quello di arrivare a percepire il suono ultimo, privo di vibrazioni, che si manifesta come “OM”.
Tantra
A differenza della versione occidentale, più popolare, la maggior parte delle pratiche Tantra non ha niente a che fare con il sesso.
Come funziona, quindi?
Mettetevi comodi e vediamo alcuni esempi di ciò che significa meditare Tantra:
- unire la mente e i sensi nello spazio interno, nel cuore dello spirito
- ogni qual volta un oggetto viene percepito, tutti gli altri si svuotano. Concentrarsi su quel vuoto e non sull’oggetto percepito
- concentrazione sullo spazio che si verifica tra due pensieri
- fissare l’attenzione all’interno del cranio con gli occhi chiusi
- meditare in occasione di ogni grande gioia
- meditare sulla sensazione di dolore
- soffermarsi sulla realtà che esiste tra dolore e piacere
- meditare sul vuoto situato all’interno del proprio corpo il quale si estende in ogni direzione contemporaneamente
- ascoltare il chakra del cuore
- ascoltare il suono di uno strumento musicale che va via via affievolendosi
- contemplare l’universo e riempirsi di beatitudine
- concentrarsi in modo intenso sull’idea che l’universo stesso sia completamente un ammasso di vuoto cosmico
- contemplare l’idea che esiste una sola coscienza in tutti i corpi.
Pranayama
Non si tratta esattamente di meditazione, ma è una pratica eccellente per calmare la mente e prepararla a essa.
Ne esistono molti tipi ma la più semplice e la più comunemente insegnata consiste nel respirare contando fino a 4, mantenere il respiro per 4 secondi, espirare per lo stesso numero e assaporare il vuoto per altrettanti secondi.
Respiriamo attraverso il naso e lasciamo che sia l’addome (non il petto) a muoversi. Questo fornisce un equilibrio agli stati d’animo e placa il corpo.
Con questo, teniamo bene a mente che lo yoga è una tradizione molto ricca condita da diverse linee guida e ramificazioni. Quindi, esistono moltissime altre tecniche. Noi abbiamo voluto inserire quelle più comuni e più semplici da attuare. Le altre? Beh, quelle sono molto più specifiche e complesse e richiedono un grado di avanzamento molto più elevato.
ALTRE MEDITAZIONI
8) MEDITAZIONE “IO SONO”
Si tratta della traduzione del termine sanscrito “Atma vichara”. Le due parole significano “indagare” e si riferiscono al concetto di andare alla ricerca della nostra vera natura per trovare la risposta della vita: io chi sono?
Questa domanda ce la possiamo spesso durante la nostra vita: perché siamo qui? Chi siamo esattamente? Qual è lo scopo della nostra esistenza? A che cosa siamo destinati? Tali pensieri a volte possono essere un vero e proprio tarlo che ci martella la mente e l’animo e possono spingerci alla ricerca del nostro io interiore fino a raggiungere le mete più sconosciute a discapito degli scogli e degli ostacoli che potremo incontrare lungo il nostro cammino.
Praticare questa disciplina di meditazione permette di prendere una profonda conoscenza del nostro vero io, il nostro vero essere in senso lato. Ma da dove viene tutto questo?
I riferimenti a tale pratica sono molto antichi. Dobbiamo camminare indietro nel tempo e visualizzare testi indiani piuttosto datati. Tuttavia, anche nel 20esimo secolo questo tipo di meditazione è piuttosto popolare ed estesa e ci viene donata da un saggio indiano, Ramana Maharshi, vissuto tra la fine del 1800 e la metà del 1900.
Il movimento moderno che si fonda sulla “non-dualità” si è fortemente ispirato agli insegnamenti del saggio e utilizza con determinazione e forza la tecnica e le sue variazioni.
Praticare è piuttosto semplice per chi riesce a capirla a fondo. In che senso? Si tratta di una tecnica che all’inizio può sembrare molto astratta e quindi molto difficile per chi è abituato a voler toccare con mano tutto ciò che prova.
In questa tecnica il senso di “io sono” è il centro di tutto il nostro universo. È lì, proprio lì, in una forma o in un’altra. È nascosto nei nostri pensieri, all’interno delle emozioni che proviamo, nei nostri ricordi, in ciò che percepiamo. Eppure non riusciamo comunque a sentirlo, a toccarlo. A capirlo. Siamo abituati a confondere il chi siamo in realtà con il nostro corpo fisico, con la nostra mente, con i nostri ruoli e le nostre etichette. Ci definiamo liberi professionisti o impiegati, ci chiamiamo per nome, ma non riusciamo a definire il nostro essere fino in fondo. Siamo “solo” questo? Chi siamo in sostanza? Questo è il più grande mistero che ci portiamo dentro per tutta la vita.
Questa fondamentale domanda esistenziale proviene dall’interno di ognuno di noi. Ma come trovare la risposta alla più grande questione della nostra vita? Prima di tutto, è necessario respingere al mittente (anche se siamo noi stessi che ci auto-convinciamo di aver trovato la vera conoscenza) tutte le risposte verbali che ne possono venire fuori e utilizzare la domanda stessa come uno strumento per fissare l’attenzione a quella sensazione oggettiva dell’io e del “io sono”.
Cerchiamo di diventare un tutt’uno con questo, andiamo in profondità alla ricerca di noi stessi. Questo andrà quindi a rivelare il nostro vero io come pura coscienza al di là di qualsiasi limitazione. Non si tratta di un esercizio intellettuale ma di una domanda che consenta di portare l’attenzione sull’elemento centrale della nostra percezione ed esperienza: l’io.
Non si tratta neppure di assaporare nel profondo la nostra personalità, ma è una pura e soggettiva sensazione di esistenza, senza immagini e concetti a essa collegati.
Un secondo modo di spiegare questa particolare e forse non molto semplice tecnica è mettere a fuoco solo la mente sulla nostra sensazione e percezione di essere, l’”io sono” non verbale, quello che brilla all’interno di ognuno di noi. Tieniamolo dentro in modo che sia puro e non venga “sporcato” per mezzo di qualsiasi probabile associazione con tutto ciò che ci percepisce.
In ogni altro tipo di meditazione, l’io si concentra su un oggetto, interno o esterno, fisico o mentale. In questa, invece, si ci focalizza solo su se stessi, sul soggetto. L’attenzione viene rivolta verso la sua stessa fonte.
In questo caso non esiste una posizione speciale che sia adatta per praticamente, anche se i suggerimenti generici riguardo la postura e l’ambiente possono risultare utili per chi si approccia a questa tecnica per le prime volte.
Un libro molto utile che potete decidere di sfogliare è I Am That di Nisargadatta Maharaj, un classico della modernità spirituale che vi permetterà di avvicinarvi maggiormente e in maniera approfondita alla tecnica spiegata in precedenza.
9) MEDITAZIONE CINESE
Detta anche filosofia taoista, è una vera e propria religione risalente al sesto secolo aC. Il Taoismo sottolinea la vita in armonia con la Natura, detta anche Tao, e influenza altre pratiche di meditazione buddista importate dall’India nell’ottavo secolo dC.
La caratteristica principale di questo tipo di meditazione è la generazione, la trasformazione e la circolazione dell’energia interiore. Si pone l’obiettivo di calmare il corpo e la mente, di rendere tutt’uno il fisico e lo spirito con lo scopo di trovare la pace interiore e l’armonia con il Tao. Alcuni stili di meditazione taoista sono in maniera specifica focalizzati sul miglioramento della salute generale spinta alla longevità.
Ci sono diversi tipi di meditazione taoista, ma le categorie principali si dividono in tre classi: interno, concentrazione e visualizzazione. Ecco qui di seguito una breve panoramica:
Meditazione Emptiness
Ci sediamo tranquilli e svuotiamo noi stessi di tutte le immagini mentali (pensieri, sentimenti, emozioni, ecc.) volte a dimenticare tutto, qualsiasi cosa, con il fine di sperimentare la quiete interiore e il vuoto. In questo stato stiamo raccogliendo e dando alimentazione allo spirito e alla nostra forza vitale e ciò consente ai pensieri e alle sensazioni di sorgere e tramontare da soli, senza impegnarsi nel seguirle attraverso la loro naturale caduta.
Meditazione basata sul Respiro
Non c’è bisogno che spieghi nel dettaglio la denominazione di questa tecnica, vero? Ecco, come è possibile bene immaginare, dobbiamo concentrarsi sul soffio vitale fino a quando non diventa un’azione matematica. Lo possiamo fare osservando il respiro (possiamo affinare la tecnica attenendoci alla meditazione mindfulness buddista), oppure seguendo alcuni schemi di espirazione e inspirazione in modo da diventare coscienti dei dinamismi del Cielo e della Terra, attraverso il respiro ascendente e discendente, così come viene spiegato dai migliori esperti del settore.
Neiguan
Sì, qui c’è bisogno della nomenclatura. Nessun problema. Il suo nome significa “visione interiore” e si basa sulla visualizzazione dell’interno del proprio corpo e della mente, compresi gli organi, i movimenti e i processi derivati dal pensiero.
È un processo laborioso atto alla conoscenza di se stessi con la saggezza della natura nel nostro corpo. Per capire, invece, come praticare, le istruzioni sono particolari e non semplici. È necessario, quindi, recuperare un buon libro tematico e approfondire con un insegnante.
In genere, però, questo tipo di meditazioni sono praticate seduti a gambe incrociate sul pavimento con la spina dorsale ritta. Gli occhi semichiusi e fissi sulla punta del naso. Uno dei maestri più famosi, Liu Sichuan, suggerisce che, anche se non è facile, si dovrebbe praticare “unendo il respiro e la mente insieme in un tutt’uno”. Per chi trova questo esercizio molto complicato, l’esperto raccomanda di concentrarsi sul basso addome.
10) MEDITAZIONE CRISTIANA
Come abbiamo potuto constatare in questa guida, nelle tradizioni orientali (induismo, buddismo, giainismo e taoismo), la meditazione è di solito praticata con lo scopo di trascendere la mente e raggiungere l’illuminazione. D’altra parte, nella tradizione cristiana, l’obiettivo di tali pratiche contemplative si riversano più sulla purificazione morale e su una più profonda comprensione della Bibbia, oltre che a ricercare una intimità più stretta con Dio.
Qui di seguito vi elenco alcune forma di pratiche contemplative cristiane:
Preghiera Contemplativa
In genere comporta la ripetizione di parole o frasi sacri, dette in silenzio con particolare attenzione e devozione.
Lettura Contemplativa
O più comunemente detta “contemplazione”. Consiste nel pensare in maniera profonda agli insegnamenti e agli eventi situati all’interno della Bibbia.
Seduti con Dio
Si tratta di una pratica silenziosa, in genere preceduta dalle prime due forme di meditazione, nella quale dobbiamo concentrare tutta la nostra mente, il nostro cuore e la nostra anima nella presenza di Dio.
Sì, questo articolo corposo si conclude qui, con un insieme variegato e ricco di stili e tecniche di meditazione in cui di certo puoi trovare anche tu quella che fa al caso tuo. Come hai potuto leggere, puoi provare a praticare alcune di queste da solo, ma ti consiglio di cercare un insegnante esperto con il quale puoi connetterti e lasciarti guidare e accompagnare lungo tutta la durata del tuo viaggio interiore.
Una volta che sei riuscito a capire bene la strada che vuoi percorrere, il prossimo passo sarà quello fondamentale: comprendere al meglio te stesso durante la pratica della meditazione.